Cistite: i consigli degli urologi

Articolo  a cura della redazione del sito di Polimedica Melfi con la supervisione dei nostri medici specialisti.

INTRODUZIONE

Si stima che Il 20-30% delle donne adulte sviluppi uno o più episodi di cistite ogni anno. La Cistite Ricorrente interessa fino al 36% delle donne attive sessualmente e il 53% di quelle in menopausa.

L’incidenza aumenta con l’età: molto bassa nell’età prepuberale mentre con l’inizio dell’attività sessuale e le gravidanze aumenta, e continua ad aumentare dopo la menopausa.

Il termine “cistite” indica l’infiammazione della vescica. Si deve distinguere la cistite di origine batterica, la più frequente, da quella non batterica (es: cistite da radioterapia, cistite di tipo interstiziale, etc.).

Indice:

La cistite ricorrente

La cistite ricorrente è caratterizzata da 2 principali aspetti:

  • Presenza continua del microrganismo isolato all’inizio del trattamento.
  •  Almeno 2 infezioni nell’arco di 6 mesi, oppure 3 o più episodi durante l’anno, nel corso del quale l’episodio iniziale si risolve, ma è seguito da un’altra infezione.

La causa delle cistiti ricorrenti va ricercata nel serbatoio batterico costituito dalla flora fecale (microrganismi aerobi gram-negativi). Questi batteri, normalmente presenti nelle feci, in particolari circostanze, possono infettare le basse vie urinarie determinando il quadro cistitico. Tra questi quello più frequentemente responsabile della cistite è l’Escherichia coli (80% dei casi) poi, lo stafilococco epidermidis (9%) e lo streptococco fecale (1-3%).

Normalmente nel soggetto sano la vescica e tutte le alte vie urinarie sono sterili, cioè non sono presenti batteri; il meccanismo di infezione più frequente nella cistite recidivante della donna è quello “ascendente”, rappresentato dal passaggio di batteri patogeni dalla zona peri-uretrale all’uretra e quindi alla vescica.

Pertanto la causa principale delle infezioni urinarie ricorrenti nelle donne è rappresentata dall’alterazione della normale flora batterica vaginale.

Fattori di predisposizione alle cistiti ricorrenti

Tra i fattori che predispongono allo sviluppo di cistiti ricorrenti ricordiamo:

  • predisposizione genetica
  • alterazione PH urinario
  • flora batterica vaginale e alterazioni dei meccanismi di difesa locale.

Altri fattori di rischio sono l’età, il trauma meccanico rappresentato dai rapporti sessuali, l’uso del diaframma e delle creme spermicide può provocare alterazioni del pH vaginale e quindi della normale flora batterica della vagina; un prolasso uterino o vescicale può avere come conseguenza l’incompleto svuotamento della vescica che può favorire l’insorgenza delle cistiti.

La sintomatologia tipica

La sintomatologia tipica delle cistiti si basa su tre sintomi:

  • POLLACHIURIA (aumentata frequenza delle minzioni);
  • BRUCIORE minzionale;
  • URGENCY (sensazione di stimolo urgente e doloroso di urinare).

Talvolta questi sintomi possono essere accompagnati da presenza di sangue nelle urine (cistite emorragica). 

La diagnosi di cistite si basa, oltre che sulla presenza dei sintomi, sui risultati dell’esame delle urine, dell’urinocoltura e antibiogramma (ricerca della sensibilità ai vari antibiotici dei batteri riscontrati). Nei casi di cistite recidivante può essere utile l’esame colturale eseguito su tampone vaginale.

Nell’esame delle urine la presenza di un elevato numero di leucociti (globuli bianchi,> a 10), la presenza di batteri in numero significativo, la presenza di emazie (globuli rossi), la presenza di nitriti e un aumento del pH sono segni di cistite. L’urinocoltura invece permette di individuare il tipo di germe responsabile dell’infezione e la sua carica ovvero il numero di batteri presenti.

Il modo giusto di raccogliere il campione di urine

È molto importante che il prelievo delle urine per l’esame di urinocoltura venga eseguito in maniera corretta al fine di garantire risultati il più veritieri possibili senza rischio di inquinamento del campione raccolto.

Questo dovrà essere effettuato con le urine del mattino direttamente nel contenitore sterile senza travasi da altri contenitori non sterili; prima del prelievo la paziente dovrà praticare un’accurata detersione delle mani e dei genitali esterni; andrà eseguito dopo aver divaricato con le dita le piccole labbra raccogliendo l’urina intermedia (iniziando quindi la minzione non nel contenitore e proseguendola, dopo la raccolta, fuori di esso) evitando inquinamenti con le mani o i genitali; infine il campione andrà portato in laboratorio entro un’ora dalla raccolta.

Profilassi per ridurre il rischio di reinfezione

La terapia medica antibiotica deve essere specifica, mirata, tenendo conto dei risultati dell’antibiogramma, cercando di evitare terapie non specifiche che possono portare a situazioni di resistenza batterica, se utilizzate impropriamente.

Le statistiche mediche ci dicono che circa il 25% delle donne che hanno avuto un’infezione delle vie urinarie ne avrà successivamente tre all’anno.

Per tale motivo è indispensabile adottare misure di profilassi atte a ridurre il rischio di reinfezione:

  • terapia con gli stessi farmaci utilizzati per l’ episodio acuto ai minimi dosaggi per 6-12 mesi;
  •  abituarsi a bere molta acqua nell’arco delle 24 ore (almeno 2 litri);
  • regolarizzazione dell’alvo (norme alimentari e farmacologiche per combattere la stitichezza);
  • porre particolare attenzione all’igiene dei genitali esterni per evitare contaminazioni da parte di materiale fecale;
  •  svuotare la vescica dopo un rapporto sessuale.

Oltre alla classica terapia antibiotica esistono delle semplici accortezze comportamentali che possono ridurre sia l’insorgenza di tali infezioni che l’attenuazione dei caratteristici segni clinici.

Ciò che spesso viene sottovalutato, ma di provata efficacia, è la normale igiene-sanitaria.

Alcune norme da sole sono responsabili della scomparsa delle infezioni e sono anche in grado di ridurre il numero degli episodi infettivi.

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Norme e consigli utili

  • Un’accurata e quotidiana igiene perineale, utilizzando dei detergenti neutri, con movimenti che vanno dalla vagina l’ano e mai il contrario poiché si rischierebbe di trasportare materiale fecale all’interno e quindi l’innesco di un infezione urinaria.
  • L’utilizzo ripetuto di biancheria intima costituita da materiale sintetico o pantaloni troppo aderenti evitano la normale traspirazione dei tessuti e quindi facilitano la proliferazione dei stafilococchi cutanei che da “commensali” (cioè organismi normalmente presenti nel corpo umano) diventano patogeni.
  • L’utilizzo di contraccettivi meccanici (diaframmi, creme spermicide, spirali, ecc.) possono essere dei facili veicoli d’infezioni, per esempio il posizionamento con le mani non perfettamente pulite. Anche l’utilizzo dei contraccettivi orali ad alti dosaggi può aiutare l’insorgenza e la proliferazione di un’infezione. Un altro dispositivo veicolo d’infezione, ampiamente diffuso, è l’assorbente interno che deve essere cambiato frequentemente e sempre rimosso durante la notte.
  • L’impiego diffuso di lavande vaginali deve essere ridotto a non più di una a settimana. Si è dimostrato che un utilizzo eccessivo di lavande interne determina un abbassamento dell’acidità naturale della vagina rendendo la via più facile ad eventuali batteri patogeni.
  • In quei soggetti sessualmente attivi è opportuno urinare prima e soprattutto dopo il rapporto sessuale, poiché il flusso urinario facilita il trasporto verso l’esterno di eventuali batteri depositati durante il rapporto.
  • Nelle donne, durante il ciclo mestruale è opportuno intensificare l’igiene personale in modo da evitare la proliferazione batterica ed una eventuale risalita facilitata in questo periodo.

La correlazione con l'alimentazione

La correlazione fra l’alimentazione e le infezioni urinarie è sicuramente correlabile a due fattori:

  • idratazione
  • acidificazione

Si è potuto notare che ciò che influenza la non-proliferazione dei batteri urinari è l’impiego di diete ad elevato residuo acido. Infatti queste abbassano il Ph urinario e di conseguenza il non attecchimento alle pareti dei batteri.

Cibi a residuo acido:

  • Carne: carni rosse, pesce, carni bianche, uova, arachidi, molluschi e tutti i tipi di formaggi, pancetta e le noci
  • Amidi: tutti i tipi di pane, soprattutto integrale, cereali in genere, crackers, pasta e riso
  • Legumi: lenticchie
  • Frutta: mirtilli e prugne

Cibi a residuo basico o alcalino:

  • Latte: latte e suoi derivati
  • Grassi: mandorle, castagne e cocco
  • Verdure: tutti i tipi soprattutto il cavolo, il dente di leone e gli spinaci
  • Frutta: tutti i tipi tranne quella descritti prima

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Supervisore dell'articolo

Dottor Giovanni Miracolo, medico specialista in urologia.

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